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Vanishing acts

“Photographs are a way of imprisoning reality. One can’t possess reality, one can possess images. One can’t possess the present but one can possess the past.” Susan Sontag, On photography, 1977.

Il vecchio album di fotografie: un archivio intimo e misterioso che custodisce il passato di ogni famiglia. Il mio archivio è composto da migliaia di fotografie scattate e stampate in camera oscura da mio nonno. Ci sono dentro persone che non ho mai conosciuto, luoghi dove non sono mai stata, storie ed episodi che ho solo potuto immaginare. La fotografia congela un momento irripetibile e condiviso solo da chi l’ha vissuto e non ci dice nulla del futuro che in quel momento doveva ancora avverarsi.

Ogni fotografia suggerisce domande, crea curiosità in chi le guarda: le persone che hanno condiviso quel momento dove sono finite? Le relazioni umane come si sono evolute? Si può nascere nella stessa famiglia e poi ritrovarsi estranei. In questo caso le fotografie diventano l’unica testimonianza di un tempo condiviso. Attraverso le fotografie si può scoprire di assomigliare molto a qualcuno che non si è mai conosciuto, in una fotografia resta acceso il sorriso di chi è andato via per sempre.

VANISHING ACTS racconta il confronto tra i miei occhi e le fotografie della mia famiglia, attraverso la mia miopia, anch’essa eredità familiare.

Le guardo da quando sono bambina, attraverso i miei inseparabili occhiali: ogni elemento nella foto è a fuoco, la visione è nitida e precisa. Tolgo gli occhiali, non ho bisogno di nitidezza per guardare oltre la superficie, scoprire il contenuto nascosto di ogni immagine. Avvicino e allontano gli occhiali dalle fotografie: luoghi e persone spariscono nelle sfocature, solo alcune parti restano visibili. E’ come leggere nel fondo delle fotografie la futura assenza di chi era presente in quel momento, in quello scatto.

 

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